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Olio vegetale, turbine e vecchi motori di nave: ecco il biodiesel per l'Eni

di Cristina Casadei

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8 Gennaio 2010

Non importa il mese, il giorno, l'ora. L'anno è il 2006. In Lombardia, a Mezzana Bigli, Lomellina meridionale, poco più di mille abitanti, c'è l'ennesimo incontro azienda-sindacati. Si parla. Prima pausa. Si riflette. Poi di nuovo al tavolo. Si discute ma il tira e molla delle relazioni industriali può andare avanti solo finché c'è qualcosa di cui parlare. Di che cosa stavano parlando allora l'amministratore delegato di Oxon e Sipcam, Giovanni Affaba, e i rappresentanti dei lavoratori? Di numeri che non c'erano più sulla carta e nella realtà. Rimpiccioliti dalla svalutazione del dollaro e dall'aggressività dei competitor asiatici, capaci di proporre prezzi più bassi. Le parole della sintesi sono di Affaba: «Da un punto di vista razionale, bisognerebbe chiudere tutte le produzioni italiane». La sintesi chimica è l'esecuzione di una reazione o di una sequenza di reazioni. Nella multinazionale italiana che è nata sulla chimica per produrre agrofarmaci è partita una sequenza. Nessuna esplosione. Ma motori di nave che producono elettricità, digestati dove fermenta materia prima vegetale che producono gas e di nuovo elettricità e una pipeline per pompare biodiesel all'Eni.

Gianni Ardemagni, segretario generale della Femca-Cisl di Pavia, ricorda il brivido causato da quel punto di vista razionale spiegato in modo così immediato. Così come il suo fondamento. «Dall'introduzione dell'euro il dollaro aveva perso circa il 40% – ricorda Affaba –. All'inizio, nel 1999, il rapporto euro-dollaro era di 1,16, oggi siamo a 1,45». Per una multinazionale come Oxon che allora esportava l'80% della produzione italiana nei due principali mercati agricoli mondiali (Stati Uniti e Brasile), nella cosiddetta area dollaro, far tornare i conti richiedeva una formula innovativa che non facesse esplodere la situazione. Tenendo conto che spesso il 40% rappresenta il margine disponibile nei prodotti chimici i conti a Mezzana Bigli non tornano. Come se non bastasse i competitor asiatici allora iniziano a mettere sul mercato prodotti a prezzi bassi, molto bassi. Una nuova perdita. E una nuova miccia. «Che cosa poteva fare la società? Il problema era esogeno», interpreta Affaba.

Per il management è stato come trovarsi tra due fuochi. Da un lato il sindacato che chiedeva di non sacrificare forza lavoro e maestranze preziose, dall'altro gli azionisti che, sensibili alle problematiche delle maestranze, chiedevano di portare avanti un programma che consentisse alla società di sviluppare progetti di diversificazione e mantenere le produzioni tradizionali di agrofarmaci (insetticidi, erbicidi e fungicidi) e intermedi chimici.

Che le redini fossero in mano a Giovanni Affaba non è stato irrilevante perché la questione era talmente complessa che serviva una persona con una solida esperienza nelle relazioni industriali. Nel 1992, Affaba è arrivato nella multinazionale italiana come direttore del personale, un ruolo che ha ricoperto fino al 2000, quando è diventato direttore generale della Sipcam Italia, per poi guidare Sipcam e nel 2006 Oxon e Sipcam.

Nel 2006 i due elementi base da combinare sono sempre gli stessi, ma con i conti che non tornano più come nell'epoca pre-euro e pre-Asia. La Oxon, a Mezzana Bigli, che produce principi attivi per il mercato degli agrofarmaci nonché intermedi chimici con un fatturato di 100 milioni di euro e 160 dipendenti. La Sipcam, a Salerano sul Lambro, vicino Lodi, che produce agrofarmaci formulati, partendo anche dai principi attivi della Oxon, con un fatturato di 85 milioni di euro e 220 lavoratori. E poi una rosa di altre società in giro per il mondo, Spagna, Portogallo, Uk, Grecia, Stati Uniti, Messico, Brasile, Argentina, Colombia, Australia, Cina, che fanno lievitare il fatturato a 350 milioni di euro e i dipendenti a mille.

«Prima ci siamo guardati dentro e ci siamo detti: abbiamo competenze chimiche e conosciamo il mondo agricolo che è il nostro mercato di riferimento. Poi abbiamo guardato fuori per capire in che cosa diversificare, partendo dal presupposto che gli impianti chimici esistenti sono difficilmente riconvertibili e che avremmo dovuto trovare qualcosa di alternativo ma non troppo distante dal nostro know-how», spiega Affaba. Alla fine la scelta è ricaduta sulle bioenergie. «Rappresentano il futuro sia dal punto di vista dei carburanti che dell'energia e nei prossimi anni ce ne sarà un bisogno molto forte, sempre crescente», sostiene Affaba.

Nel 2006 comincia la svolta di Oxon e Sipcam. Tutte le nuove produzioni derivanti dai nuovi investimenti partono da una materia prima di origine vegetale a cui le due società hanno sempre avuto facile accesso grazie al lavoro e alla collaborazione con il mondo agricolo. Tre i progetti sviluppati di cui due già compiuti e uno in corso di realizzazione.

Partendo dal racconto del già fatto bisogna iniziare da un motore marino e da oli vegetali. Con un investimento di 11 milioni di euro a Mezzana Bigli è stato installato un motore di una grossa nave, alimentato con oli vegetali che fanno girare una turbina che, a sua volta, produce energia elettrica. O meglio green energy.

  CONTINUA ...»

8 Gennaio 2010
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